Una ricerca di una piccola organizzazione no profit svizzera – Psychology and Psychotherapy Research Society – sul programma televisivo Amore Criminale ha evidenziato un possibile impatto controproducente sui telespettatori di genere maschile, potenziali autori di violenza. Tali perplessità sono state esplicitate in una comunicazione alla Presidenza della RAI.
Amore Criminale, trasmissione rivolta a prevenire le violenze sulle donne attraverso la documentazione della sofferenza delle vittime e delle loro famiglie, nonché attraverso la condanna morale del comportamento degli aggressori e la cronaca delle condanne inflitte, potrebbe contenere elementi atti non solo a neutralizzare l’effetto benefico desiderato, ma addirittura, qualora lo spettatore sia un uomo che desidera uccidere la partner o l’ex-partner, a esitare in effetti in qualche modo controproducenti.
Di seguito esponiamo una sintesi di alcuni riscontri che potrebbero suggerire tale ipotesi, riscontri che rappresentano i primi esiti di uno studio sui filmati delle puntate del 03.11.2014, del 10.11.2014 e del 17.11.2014. L’indagine è stata svolta su registrazioni effettuate al momento in cui la trasmissione andava in onda (non quindi sulle registrazioni dell’archivio messo a disposizione del pubblico nel sito della RAI). Sulle vicende narrate non abbiamo voluto acquisire altre informazioni oltre a quelle contenute nei filmati stessi, non essendo oggetto del nostro studio la completezza delle informazioni.
L’esame è stato svolto tenendo conto dei comportamenti tipicamente manifestati dagli autori di violenze su partner o ex-partner e segnatamente delle tre ben note autogiustificazioni delle violenze commesse:
1. La pretesa che esse furono dettate dalla passione amorosa;
2. La loro spiegazione come esito di un momento di discontrollo o follia;
3. L’interpretazione di tali discontrollo o follia come innescati da qualche comportamento della vittima. Nei filmati troviamo ripetutamente condannata la violenza ed espressa solidarietà alle vittime. Tuttavia, intercalati a questi contenuti e senza soluzione di continuità con essi, troviamo purtroppo anche parole e immagini che veicolano l’adesione a stereotipi culturali atti a validare le tre autogiustificazioni di cui sopra:
A. Attribuzione all’autore di femmicidio di sentimenti di amore per la donna che uccide (autogiustificazione n. 1). Si tratta di un’attribuzione arbitraria; infatti non solo è evidentemente da escludersi l’amore per la donna in chi la sta uccidendo, ma, anche per quanto riguarda la fase iniziali della relazione, gli autori della trasmissione non possono sapere se un autore di femmicidio abbia provato amore per la vittima o se invece il suo comportamento, anche quando è stato tipico dell’innamoramento, sia stato in realtà dettato dalla tendenza a sedurre la donna per soddisfare un desiderio di controllo.
A1. Anche se il concetto che quando c’è violenza non c’è amore è spesso ribadito, amore e violenza sono associati nel titolo (Amore Criminale) e in diverse affermazioni della conduttrice (ad esempio nella puntata del 03.11.2014 la conduttrice così commenta un delitto: “Capire il momento esatto in cui un amore diventa amore criminale non è facile”;
A2. Amore e delitto sono associati nella canzone scelta come sigla “Each man kills the thing he loves” [“Ogni uomo uccide la cosa che ama”] di Jeanne Moreau;
A3. Amore e delitto sono associati nell’immagine che si ripete in sovraimpressione molto frequentemente: un cuore rosso che si trasforma in un revolver e in un coltello;
A4. Anche se spesso le motivazioni degli aggressori vengono definite come volontà di possesso, viene regolarmente attribuita loro anche la gelosia (questo ricorre ripetutamente in tutte le trasmissioni esaminate). Ora, il significato di “gelosia” nella lingua italiana implica che chi la prova ami la persona di cui è geloso (si vedano per esempio i dizionari Garzanti e Zingarelli). Poiché i due termini “volontà di possesso” e “gelosia” coprono un campo semantico sovrapponibile, ci si può ragionevolmente aspettare che lo spettatore che desideri uccidere la partner o l’ex-partner si riconosca nella gelosia, che, implicando l’amore, purtroppo sostiene l’autogiustificazione n. 1, anziché nella volontà di possesso;
A5. Nelle scene che rappresentano il femmicidio, l’espressione sul volto dell’aggressore (o, meglio dell’attore che lo impersona) nel momento in cui colpisce la donna è di estremo dolore (puntata del 03.11.2014, puntata del 17.11.2014), come se l’uomo fosse profondamente dispiaciuto per la morte della donna che sta uccidendo. Si tratta di un’attribuzione del tutto arbitraria, non esistendo evidentemente prove dei sentimenti vissuti da questi imputati al momento dei delitti avvenuti senza testimoni (al di là forse delle loro stesse dichiarazioni di autodifesa) e potendosi, anzi, ragionevolmente supporre che l’emozione prevalente in un uomo che infierisce sulla ex-partner con 17 coltellate (puntata del 17.11.2014) o in quello che colpisce il volto della partner fino a renderlo irriconoscibile (puntata del 03.11.2014) sia la rabbia, non il dolore. Anche questa arbitraria attribuzione di dolore per la morte della donna va nel senso di confermare l’idea che l’aggressore provi per lei amore o affetto.
B. La facile definizione delle violenze come esito di discontrollo o follia (autogiustificazione n. 2). In realtà, gli stati mentali di infermità o seminfermità mentale possono essere qualificati tali solo dopo complesse procedure psicodiagnostiche.
B1. Le violenze sulla partner sono frequentemente spiegate come perdita del controllo dell’aggressore in reazione a scelte di autonomia della donna. Non viene menzionata la possibilità che nelle violenze che si susseguono impunite sulla donna indifesa l’aggressore possa trovar sollievo anche rispetto a frustrazioni che hanno origine in contesti in cui è costretto a controllare la sua aggressività: sul lavoro, nella famiglia di origine ecc. e che quindi si possa trattare non di una incapacità nel controllare l’aggressività, bensì di un controllo selettivo. Per esempio, nella puntata del 03.11.2014 così viene commentata una scena di violenze fisiche e verbali: “Pasquale non sopporta l’autonomia di Adriana e un giorno esplode” (segue una scena di violenze e insulti). Nella puntata del 17.11.2014 secondo l’avvocata della vittima, “Una grande gelosia” porta Benedetto ad avere “reazioni spropositate”.
B2. Altre volte si descrivono gli stati mentali dell’aggressore con termini assunti, spesso scorrettamente, dalla nosografia psichiatrica. Per esempio, nella puntata del 03.11.2014 così vengono definiti i comportamenti di Alain: “comportamenti ossessivi e compulsivi”. E la notte prima del delitto così è narrata: “Una notte di puro delirio… Antidepressivi e hashish creano in lui ansia, panico, depressione”. Nella puntata del 10.11.2014 così è descritta lo stato mentale dell’uomo che ucciderà Sabrina: “Sabrina ha provato in tutti i modi di far capire a Nino che non è interessata a lui, ma l’uomo non l’ascolta: vive il suo delirio ossessivo… Sono tanti gli uomini che davanti al rifiuto di una donna non si rassegnano, che impazziscono all’idea che quella donna non possa essere loro”. “Nino scappa [dopo il delitto]. E’ in fuga da se stesso, è in fuga dal gesto atroce che ha compiuto. Ha portato a compimento il suo delirio ossessivo”. Persino la tendenza al controllo della vittima viene qualificata come una psicopatologia: nella puntata del 17.11.2014 la conduttrice commenta: “Rosi… uccisa da un uomo malato di possesso”.
C. La co-partecipazione delle vittime alla violenza (autogiustificazione n. 3). Si tratta di un luogo comune presente anche nei testi della psichiatria e della psicologia, dove si parlava –e, ahimè ancora da parte di alcuni si parla- di masochismo delle vittime o collusione con l’aggressore e dove si usava –e, ahimè, ancora talvolta si usa- praticare psicoterapie di coppia per curare le violenze. In realtà, è vero che la donna che presenta tratti di personalità quali tolleranza dell’aggressività, scarsa tolleranza dell’abbandono, compromissione dell’autostima può più facilmente essere preda dell’abusante, ma è anche vero che queste sono caratteristiche che possono far parte della condizione femminile, spesso esito e non causa dell’essere oggetto di forme di maltrattamento e comuni anche a tantissime donne che non subiscono violenze: sono gli aggressori che creano le vittime di violenza, non queste ultime a cercarsela.
C1. Definizione delle violenze dell’aggressore come un’interazione di coppia. Nella puntata del 17.11.2014 così viene introdotta dalla conduttrice la scena in cui Rosi (26 anni) rimprovera a Benedetto (38 anni) la mancanza di guadagni e lui reagisce picchiandola brutalmente: “Le rispettive famiglie di origine non sempre riescono ad aiutare i due ragazzi. Così più di qualche volta i soldi non bastano neanche per fare la spesa. Questo inizia a provocare le prime grandi tensioni tra Rosi e Benedetto”. E una zia riferisce la distruzione dei mobili di casa operata da Benedetto in questo modo: “Hanno litigato e hanno distrutto una casa…”. E, più avanti, la conduttrice racconta: “Benedetto diventa geloso e violento. Basta poco per farlo scattare. Ma Rosi reagisce: quando il compagno la picchia risponde alle botte. E’ un rapporto, quello tra i due ragazzi, che è entrato in una brutta spirale”… “In un’altalena di liti e riappacificazioni, Rosi ritorna con Benedetto”… In realtà, secondo quanto riferisce la madre, tutte le volte che Rosi rientrava in famiglia Benedetto continuava a insistere perché lei tornasse da lui. “Le discussioni e i litigi tra Rosi e Benedetto proseguono nonostante la gravidanza” (in un’intervista, al madre riferisce che Rosi venne ricoverata per un pugno al ventre inferto da Benedetto). E, in seguito, “Nuove violente liti determinano il peggioramento del rapporto”… “Neanche la nascita del bambino migliora le cose: tra Rosi e Benedetto c’è sempre molta violenza”. Nella puntata del 17.11.2014 la conduttrice spiega: “La vita matrimoniale di Alkida è subito segnata da liti e violenze. In realtà, a domanda dell’intervistatrice, Alkida risponde rivelando violenze tutt’altro che reciproche: “Schiaffi, pugni, mi sbatteva a terra…. Poi iniziano le minacce di morte”. Nella puntata del 03.11.2014 così viene ricostruita dagli autori della trasmissione l’uccisione di Alice: “Come siano andate le cose lo sa solo Alain. Di certo la lite si è sviluppata in tutti i locali della casa per poi concentrarsi drammaticamente nel bagno” e le immagini mostrano l’attore che picchia l’attrice mentre lei che picchia lui. Nella puntata del 03.11.2014 così viene commentata una violenza sessuale: “I rapporti sessuali tra Adriana e Pasquale si impoveriscono fino a diventare rapporti di puro possesso e sottomissione”. Il termine “sottomissione” implica una componente soggettiva di obbedienza, riconoscimento del potere dell’altro, sia pure obtorto collo (si vedano per esempio i dizionari Garzanti e Zingarelli). Attribuito alla vittima di uno stupro è minimizzante e responsabilizzante tanto più che viene riportata nella stessa trasmissione questa testimonianza della donna: ”Se non facevo quello che diceva lui erano botte, erano sputi” (dunque di schiavitù si trattava, non di sottomissione).
C2. Minimizzazione delle violenze, corollario dalla loro definizione come parte di un’interazione di coppia. Si veda la puntata del 03.11.2014: “La speranza del cambiamento… naufraga contro le durezze di Pasquale” con il termine “durezze” ci si riferisce a una violenza che procura alla vittima una tumefazione a un occhio che si ridurrà solo dopo un mese. Nella puntata del 17.11.2014 così viene commentato un ricovero d’urgenza di Rosi al quinto mese di gravidanza: “Le discussioni e i litigi tra Rosi e Benedetto proseguono nonostante la gravidanza e Rosi fisicamente ne risente al punto che si teme per il bambino”. In realtà la madre di Rosi rivela, nel corso di un’intervista trasmessa nella stessa trasmissione, che Rosi era stata portata all’Ospedale perché “Le aveva dato lui un calcio… Me lo ha detto il ginecologo”.
C3. L’idea che la spiegazione dei fatti sia da ricercarsi parimenti nella personalità della vittima e in quella dell’aggressore. E’ un concetto che non viene mai esplicitato, ma potrebbe essere veicolato dalla struttura narrativa utilizzata. Ogni puntata inizia con una descrizione della storia e della personalità della vittima cui fa seguito la descrizione della storia e della personalità del reo. L’indagine sull’infanzia e l’adolescenza della vittima e l’indagine relativa alla vita dell’aggressore poste alla pari e in parallelo possono veicolare la rappresentazione di due concatenazioni di eventi equamente concausa dell’incontro tra i due personaggi e poi del tragico epilogo. Questa sintassi storiografica potrebbe tendere a far perdere di vista la responsabilità individuale ed esclusiva dell’aggressore rispetto alla scelta di uccidere la donna.
C4. La tesi che le vittime non si rendano conto della pericolosità dell’aggressore ed è per questo che non denunciano o non si allontanano. Nella puntata del 03.11.2014 la conduttrice afferma: “Le violenze sono spesso precedute da campanelli d’allarme che le donne spesso sottovalutano o ignorano”. E, a conclusione della puntata, così commenta: “Capire il momento esatto in cui un amore diventa un amore criminale non è facile. Molte donne non riescono a comprendere la pericolosità dei rapporti che stanno vivendo perché hanno perso la lucidità, perché l’uomo che hanno accanto le ha distrutte psicologicamente”. La tesi, ribadita in tutte le trasmissioni dalla conduttrice, non è sostenuta da adeguate argomentazioni. Anzi, è smentita dai documenti presentati nelle stesse trasmissioni dai quali risulta che, se è vero che vi sono alcuni casi di dipendenza affettiva (come quello di Rosi, di cui parleremo), nella maggioranza delle vicende trattate nel corso delle puntate, quando le donne tardano ad allontanarsi dal partner o a sporgere denuncia è perché hanno ragione di temere che l’allontanamento o la denuncia, anziché ridurre il pericolo, possano causare un aumento della frequenza o intensità delle violenze. Infatti, le vittime sanno bene che le denunce non esitano nella loro messa in sicurezza. Si veda la puntata del 17.11.2014: quando Rosi denuncia Benedetto, la conduttrice riporta che “La denuncia provoca in lui una bruttissima reazione… Impaurita dalla reazione di Benedetto sarà proprio Rosi a ritirare la denuncia”. E’ dunque chiaro che un motivo che può spesso ritardare le denunce è proprio la previsione di “brutte reazioni” da parte dell’aggressore, ma questa connessione non viene esplicitata nei commenti della conduttrice alle scelte delle donne. Nella puntata del 17.11.2014 Aikida, una donna sopravvissuta a una relazione con un uomo violento, alla domanda dell’intervistatrice sul perché restasse a vivere con il marito, dice esplicitamente che restava per paura. Nella puntata del 17.11.2014 ecco come è annunciata la vicenda di Rosi, che, come si legge nelle immagini delle pagine dei quotidiani inquadrate nel corso della trasmissione, quando fu uccisa aveva denunciato l’aggressore sei volte per stalking: “Questa è la storia di una madre che cerca di aiutare una figlia e di una figlia che non riesce a capire in tempo il pericolo che sta correndo”. Si veda il commento della conduttrice nella puntata del 10.11.2014 riguardo la tragica vicenda di Sabrina: “Ma Sabrina sottovaluta la pericolosità di Nino”. Invece, secondo la testimonianza della collega trasmessa nella stessa puntata, Sabrina sapeva bene che stava rischiando la vita tanto che aveva rivelato di voler sparire; infatti pare proprio che, dopo aver denunciato invano, sparire sarebbe stata per lei l’unica via per salvarsi. Anche dopo che l’uomo comunica a Sabrina di avere un’arma e di nuovo la minaccia, secondo gli amici e il comandante dei carabinieri intervistati nella stessa trasmissione, Sabrina era consapevole del fatto che avrebbe potuto usare l’arma contro di lei. Ma la conduttrice, nonostante quanto emerge da queste interviste, ribadisce: “Sabrina all’inizio sottovaluta, non crede che Nino sarà capace di fare quello che ha detto. Solo molto tempo dopo comprenderà che quello minacce di morte sono vere”. Inoltre, nonostante che, come riferisce il comandante dei carabinieri, Nino avesse minacciato non solo Sabrina, ma anche “chiunque si fosse messo in mezzo”, il fatto che Sabrina non riferisca le minacce al fratello e al marito non viene interpretato come modo per non metterli in pericolo: “Finalmente, Sabrina capisce che Nino non sta scherzando…ma al fratello e al marito non dice ancora nulla”. Nella puntata del 03.11.2014 così viene commentata la vicenda di Silvia, un’altra donna sopravvissuta: “Silvia non si accorge che è entrata in un vortice emotivo pericoloso”. In realtà, Silvia all’intervistatrice dichiara ripetutamente che aveva paura dell’uomo e per questo non lo lasciava e riferisce di averlo subito denunciato per poi essere minacciata di morte e con tale minaccia costretta a ritirare denuncia; afferma poi che tuttora teme che l’uomo, che è a piede libero, possa fare irruzione in casa sua sfondando la porta. Parimenti del tutto priva di riscontri è l’affermazione nella puntata del 03.11.2014: “Adriana ci ha messo molto tempo a capire che la relazione con Pasquale era pericolosa… In realtà, secondo il suo avvocato, Adriana restava perché “Il terrore di essere uccisa aveva annullato in lei ogni capacità di reagire”. Dunque, non certo per una sottovalutazione del pericolo. In conclusione, se la maggior parte delle donne uccise di cui nelle puntate esaminate viene narrata la vicenda avevano denunciato le violenze e si erano allontanate dall’aggressore o comunque lo stavano lasciando quale pensano gli autori della trasmissione dovrebbe essere il comportamento delle vittime consapevoli dei pericoli? Nei filmati non si evince una risposta a questo quesito; vi è tuttavia la reiterata responsabilizzazione delle vittime, come nell’esempio che segue: ”Adriana ci ha messo molto tempo a capire che la relazione con Pasquale era pericolosa. Molte donne vivono una condizione come la sua: le invitiamo a troncare la relazione prima che sia troppo tardi”.
C5. La tesi che le vittime restano con l’aggressore perché psicologicamente dipendenti. Nella stessa puntata del 03.11.2014 così viene commentata la vicenda di Adriana: “Questa è la storia di una donna che per dieci anni non riesce a uscire dal ruolo di vittima… Come lei vivono tante donne accanto a uomini che le calpestano e le umiliano… Sono donne fragili, che non riescono a staccarsi dal proprio carnefice, che vivono una situazione di dipendenza affettiva”. In realtà, come abbiamo visto, secondo il suo avvocato, Adriana restava per il terrore di essere uccisa. Inoltre, secondo un’amica Adriana restava anche perché poteva sentirsi senza alternative essendo non indipendente economicamente e in una città lontana (quindi non per una dipendenza puramente psicologica). Vicenda diversa è quella di Rosi, trattata nella puntata del 17.11.2014. Effettivamente in questo caso pare sussistere una dipendenza affettiva, come anche le dice la sua psicologa in un colloquio ricostruito: “E’ un caso di dipendenza affettiva… Occorre por fine a questa situazione altrimenti rischi di farti ancora più male”. Tuttavia, gli autori della trasmissione omettono di sottolineare che è proprio quando Rosi avrà seguito l’indicazione della psicologa, si sarà emancipata e avrà lasciato Benedetto che verrà uccisa. Anzi, nel commento alla morte della giovane non si dà atto del fatto che la ragazza era riuscita ad allontanare l’uomo e lo riceveva in casa solo perché obbligata a concedergli di incontrare il figlioletto: “Rosi non riusciva a staccarsi dal proprio carnefice. Accade a molte donne. Non è facile capire perché succede. Non è facile capire quali dinamiche scattano. Non è facile capire perché un amore diventa un amore criminale”.
C6. La tesi che per evitare le violenze sia sufficiente coraggio e forza di volontà. Se anche questa tesi non viene esplicitata, non può non veicolarla il modo in cui viene raccomandato alle vittime di denunciare le violenze: pur essendo riportato all’interno degli stessi filmati che molte donne vengono uccise nonostante la ripetuta denuncia dei loro aggressori, le raccomandazioni che la conduttrice ripete in ogni puntata sono rivolte esclusivamente alle vittime, affinché denuncino l’aggressore, anziché essere indirizzate in primo luogo alle autorità, alle famiglie, ai datori di lavoro, ai cittadini affinché non lascino sola la donna che sappiano subire violenze e rendano il suo aggressore immediatamente oggetto di ogni condanna anche morale. Va nella stessa direzione la cronaca delle testimonianze delle donne che sono sopravvissute a una relazione con un uomo violento: le loro vicende vengono descritte come se la donna ce l’avesse fatta da sola con coraggio e forza di volontà. Si veda per esempio la storia di Vanessa (puntata del 10.11.2014), dove l’aiuto ricevuto dai genitori dopo la separazione dal convivente si intuisce ma non è esplicitato; nella puntata del 17.11.2014 su Aikida per l’aiuto ricevuto dal centro antiviolenza solo un accenno. Nella puntata del 03.11.2014, dove viene intervistata Silvia, l’accenno ad aiuti ricevuti da professionisti resta vago. Nell’intervista ad Adriana (puntata del 03.11.2014) il ruolo del vicino di casa che durante un assalto del marito la protegge e si oppone all’aggressore non è, almeno a nostro parere, adeguatamente valorizzato; infatti la psicologa rileva soltanto che Adriana ha “smesso di fare la vittima”.
La nostra preoccupazione circa questi messaggi di conferma delle tre autogiustificazioni degli aggressori e l’effetto che essi potrebbero avere qualora lo spettatore sia un uomo che desidera uccidere la partner o l’ex-partner risulta accresciuta quando lo studio si focalizza sul contesto in cui questi contenuti vengono trasmessi; infatti, da tempo le scienze della comunicazione insegnano che l’efficacia di un messaggio dipende anche dal suo contesto. Qui di seguito elenco sommariamente alcune caratteristiche che saltano, per così dire, agli occhi dello studioso:
I. Autorevolezza morale della fonte delle informazioni: Amori Criminali si presenta come un’inchiesta giornalistica, genere da cui lo spettatore è abituato ad aspettarsi la rivelazione di fatti veri nonché un impegno sociale da parte degli autori; infatti frequentissime sono le affermazioni di condanna della violenza e di solidarietà alle vittime, accompagnate dalla giusta enfasi. Tali affermazioni di positivi principi morali finiscono purtroppo per fare da cornice anche agli stereotipi che abbiamo elencato qualificandoli moralmente in senso positivo e quindi facilitandone l’assimilazione;
II. Importanza istituzionale dell’emittente: RAI, Canale 3, e la collocazione in prima serata. Frequentemente, inoltre, viene data la parola a professionisti quali psicologi, ufficiali dei carabinieri, medici, magistrati, avvocati;
III. Tecniche atte a facilitare l’integrazione immediata delle informazioni: l’elencazione degli avvenimenti è con linguaggio e sintassi elementari tanto che talvolta si sofferma pedissequamente su particolari che non hanno alcunché di rilevante, come quando vengono rappresentati i rilievi della scientifica sulla scena del crimine senza comunicarne gli esiti che peraltro sarebbero comunque scontati (puntate del 10.11.2014, del 17.11.2014). Nelle spiegazioni dei fatti proposte dalla conduttrice o dagli esperti intervistati non sono menzionati dubbi interpretativi, né i complessi fattori in gioco a monte dei tragici avvenimenti. La mente dello spettatore non è sollecitata a formulare ipotesi o costruire collegamenti di causa-effetto o rilevare le contraddizioni. E’ pertanto facilitata l’adesione agli stereotipi sopra riportati;
IV. Omessa citazione dei documenti: non è dato allo spettatore conoscere le fonti delle informazioni trasmesse. E non vi è soluzione di continuità tra documentario e recita: si deduce che si è passati dall’uno all’altra perché si riconoscono attori anziché i veri personaggi, ma la rappresentazione d’insieme tende a favorire l’indistinzione tra documenti, simulazioni e finzioni. E’ quindi inibita la valutazione critica dell’attendibilità di quanto affermato e tendono a essere equiparati a verità documentate anche dati che non possono che essere inventati dagli autori della trasmissione come l’espressione di dolore sul volto dell’aggressore nel momento dell’assassinio avvenuto senza testimoni (vedi punto A5), o l’attribuzione al reo di “follia” (vedi il punto B2);
V. Le scene di sangue, che si ripetono richiamate anche dal rosso nell’immagine in sovraimpressione (un cuore che si trasforma in un’arma – vedi punto A3), e l’esposizione delle salme martoriate non possono che attivare emozioni molto intense e le relative difese, atte a soverchiare lo spazio per il ragionamento e la critica e a favorire quindi l’accettazione dei contenuti trasmessi.
In conclusione, l’efficacia dei messaggi trasmessi, anche di quelli a favore delle autogiustificazioni di chi desideri uccidere la partner o l’ex-partner, potrebbe essere purtroppo accresciuta dal contesto.
Lugano, 24 Novembre 2014
Fonte: Piera Serra – Psychology and Psychotherapy Research Society