Il 30 giugno, una cinquantina di senatrici e senatori Pd hanno dato inizio a una staffetta parlamentare contro la violenza sulle donne. La staffetta consiste nell’effettuare un intervento di fine seduta ogni volta che una donna viene uccisa per mano di un uomo a cui è, o è stata, legata da relazione amorosa. Con l’intervento che ha avuto luogo martedì prossimo, sono già otto le donne a cui abbiamo dedicato i nostri interventi. È utile questa testimonianza? Il Parlamento non farebbe meglio a fare delle leggi che aiutino ad arginare il fenomeno?
Il primo atto del Parlamento, in questa legislatura, è stato la ratifica della Convenzione di Istanbul che, riconoscendo la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e discriminazione di genere, chiarisce che questa violenza non è un fenomeno privato, che riguardi singole relazioni di coppia, ma è un fenomeno sociale che ha le proprie radici nella relazione di potere asimmetrica fra uomini e donne. Per questo la si può e la si deve prevenire intervenendo sui fattori che la determinano.
Il senso della nostra staffetta è allora duplice:
Per fare alcuni esempi, con riferimento alle norme introdotte con la legge 119: quali i dati sull’arresto in flagranza per gli stalker violenti? L’allontanamento del maltrattante, o il suo ammonimento, sono misure efficaci? Quante volte gli autori di femminicidio hanno violato queste misure? L’obbligo di informare la vittima sull’andamento del procedimento giudiziario viene rispettato? Il patrocinio gratuito previsto dalla legge per la donna che denuncia le violenze subite è riconosciuto? L’assunzione della testimonianza in modalità protetta per evitare la ri-vittimizzazione della donna nel processo è negata o concessa dai giudici? Si è data priorità ai processi sui temi della violenza come la legge prevede, nella consapevolezza che il fattore tempo può salvare donne in pericolo? Perché i soldi previsti per i centri antiviolenza sono stati distribuiti una volta sola e non tutti gli anni? A che punto è il monitoraggio dell’uso che ne hanno fatto le regioni? A che stadio di realizzazione si trova l’ampio spettro di azioni previste dal Piano contro la violenza approvato solo nel settembre scorso?
Occorre che tutti gli organi di governo e le amministrazioni coinvolte, a livello nazionale e locale, diano conto delle azioni che hanno messo in campo, perché bisogna capire se ci si è limitati a interventi, anche efficaci e di grande richiamo mediatico, ma episodici, o a macchia di leopardo sul territorio del paese, o se, come richiede la legge, è stato messo in cantiere lo sforzo necessario per fare diventare le tante buone pratiche che esistono nel nostro paese, un vero e proprio sistema di interventi. Senza coordinamento fra le diverse azioni e monitoraggio dei risultati, ogni ulteriore produzione normativa rischia di risultare inutile o inadeguata.
Fonte: huffingtonpost.it