Femmicidio: un blog contro la violenza

Ventotto anni di ricerche.  Ricerche volontarie, fatte spulciando prima libri e giornali in biblioteca e poi, con l’arrivo di internet, i quotidiani online, i siti di informazione del web.

La Casa delle donne di Bologna è l’unico centro in Italia che dal 1985 raccoglie con rigore scientifico, ogni giorno, i dati sul femicidio (l’uccisione di una donna per questioni di genere) e il femminicidio (il maltrattamento di una donna per questioni di genere), grazie alla caparbietà di un gruppo di volontarie/i che già trent’anni fa aveva intuito la portata distruttiva della cultura patriarcale in Italia.  Per dar voce a questo lavoro è nato il blog  “Femicidio”.

“Con femicidio si intendono tutte le uccisioni di donne avvenute per motivi di genere, quindi a prescindere dallo stato o meno di mogli.

L’utilizzo di un termine specifico per identificare l’evento dell’uccisione della donna serve anche per distinguere tale esito estremo da quelli che rientrano nella generale categoria di femminicidio e che coincidono con ogni pratica sociale violenta fisicamente o psicologicamente, che attenta all’integrità, allo sviluppo psicofisico, alla salute, alla libertà o alla vita delle donne, col fine di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e/o psicologico”, si legge nella definizione tratta dalla ricerca sui femicidi in Italia (2011) che la Casa delle donne per non subire violenza pubblica ogni anno l’8 marzo.

In Italia, dall’inizio dell’anno, i femminicidi sono stati 68 (124 nel 2012). Solo alla Casa bolognese, dal gennaio 2013, hanno chiesto aiuto già 600 donne. Servizi come quello svolto volontariamente a Bologna, in Paesi in Francia e Spagna sono a carico dello Stato e vengono svolti direttamente dalle istituzioni.

In Italia non esiste un sistema di monitoraggio sul problema del femicidio, che solo recentemente è stato inquadrato per quello che è, cominciando a diffondere il messaggio che le centinaia di donne che ogni anno vengono maltrattate o uccise dai compagni non sono vittime di un “raptus” o di un “delitto passionale” ma di una concezione patriarcale e squilibrata dei rapporti tra uomo e donna, e che proprio e solo in quanto donne vengono perseguitate e ammazzate.

“Quando abbiamo iniziato la nostra ricerca ci siamo subito chiesti cosa intendiamo per femicidio e femminicidio, stabilendo parametri scientifici precisi” spiega Anna Pramstrahler, coordinatrice del progetto di monitoraggio, “sulla base dei quali, ogni giorno, abbiamo aggiornato un database, tanto che i nostri dati vengono ripresi continuamente da giornali e siti specializzati: sono gli unici attendibili e verificabili (perché noi documentiamo tutto) che circolano in Italia.

Ad oggi abbiamo monitorato più di 1000 casi di uccisioni di donne e abbiamo deciso di rendere pubblico questo lavoro aprendo il blog”. Il blog è nato da appena due settimane ma già raccoglie ogni giorno centinaia di contatti. Le amministratrici hanno però dovuto bloccare la possibilità di commentare i post perché ricevevano troppi insulti, soprattutto da parte di uomini. “Ci accusano di essere di parte, di avere una visione parziale e miope.

Sono pieni di rabbia e sottolineano, ad esempio, che ogni anno gli uomini uccisi sono molti più delle donne. È un duro lavoro, bisogna faticare giorno per giorno per far capire che gli uomini vengono uccisi dalla criminalità, le donne in quanto donne. Ma ce la faremo”.

Lo scopo del blog dunque non è quello di ravvivare la discussione su questi temi ma di informare le donne vittime di femicidio o femminicidio sulle loro concrete possibilità di salvezza. “Negli ultimi due anni, soprattutto, si è parlato spesso del problema ma raramente vengono proposte soluzioni, di rado passa il messaggio: ‘una via d’uscita c’è, potete salvarvi, ecco come’.

La stampa da questo punto di vista è stata superficiale, salvo qualche sporadico caso. Noi vogliamo invece dimostrare alle donne che uscire dalla violenza è possibile, che i centri di aiuto in Italia ci sono e lavorano bene. Proporre soluzioni, mostrare un’alternativa che prescinda dall’aiuto della polizia, dato che spesso le forze dell’ordine sottovalutano la situazione delle donne e hanno una concezione dei rapporti tra uomo e donna maschilista.

La polizia spesso rimanda le vittime a casa, consiglia loro di riavvicinarsi al compagno o al marito. I centri hanno un approccio diverso, affrontano il problema con un’ottica di genere e possono davvero rappresentare un aiuto per le donne in difficoltà”. Il gruppo di ricerca della Casa delle donne di Bologna è stato il primo a dire che anche le prostitute sfruttate e uccise sono vittime di femicidio, restituendo dignità a morti di cui finora è sempre importato poco sia ai cittadini che alle istituzioni.

Il lavoro da fare, dunque, conclude Pramstrahler, è ancora tanto, ma l’Italia è sulla buona strada. “C’è molta più sensibilità. Finalmente si comincia a capire la natura e la portata del problema, e il merito, va detto, è anche di voi giornalisti. Ci vorranno ancora 20, 30, forse 50 anni prima che le nostre posizioni vengano capite e condivise da tutti, ma siamo fiduciose”.

 

Un balzo in avanti in positivo era stato fatto, spiega, dalla ex ministra alle Pari opportunità Josefa Idem, che all’interno del suo breve mandato aveva dimostrato grande interesse per le problematiche proposte dai centri antiviolenza. “Ha voluto incontrarci anche il giorno prima di dimettersi” conclude Pramstrahler, “ha avuto anche quella sensibilità. Una donna umile, fuori dai giochi politici, che avrebbe potuto fare molto per le donne in Italia. Ad un uomo, al posto suo, non sarebbe stato chiesto di dimettersi, ne sono certa. La speranza è che quel passo avanti non cada nel vuoto e che nomino un altro ministro altrettanto in gamba. Abbiamo bisogno dell’aiuto delle istituzioni”.

Fonte: d.Repubblica, 30/07/13

  • Aggiornato il 5 Agosto 2013