Apprezzamenti e perplessità suscita la recente approvazione del decreto legge contro il femminicidio – D.L. 93/03. Il legislatore ha finalmente preso atto che esiste una violenza intrafamiliare che rappresenta più del 70 % delle violenze rilevate ed ha inasprito le pene nei confronti del partner maltrattante. Purtroppo, le aspettative sulla dotazione di risorse finanziarie a favore dei Centri Antiviolenza e Case Rifugio sono andate deluse come la possibilità di incentivare azioni per la sensibilizzazione sul fenomeno della violenza di genere che avrebbero permesso di affrontare in modo efficace una battaglia che è in primo luogo culturale oltre che criminale.
I commenti positivi, gli apprezzamenti e le felicitazioni non sono mancati. Ma nei commenti del giorno dopo l’approvazione del drecreto legge contro il femminicidio arrivano anche critiche e timori, tra le posizioni sfumate di chi apprezza le buone intenzioni ma fa notare i possibili punti deboli di singoli aspetti, e chi invece mette nero su bianco opinioni apertamente negative.
«Inasprire le pene non basta, naturalmente, e forse non serve. Le buone leggi non sono quelle che nascono dalle pessime abitudini e tentano di sanarle, condonarle, depenalizzarle, regolarle e infine punire, sì, chi davvero esagera». Così commenta Concita De Gregiorio il decreto legge sul femminicidio approvato ieri dal consiglio dei ministri, sottolineando che davvero poco la nuova legge promette in fatto di prevenzione e di cambiamento culturale. Perché alcuni anni in più di carcere difficilmente potranno dissuadere chi massacra di botte una donna, nota l’editorialista di Repubblica, che si interroga anche sull’efficacia dell’agravante per le donne incinte, le mogli e le partner, che «stabilisce anche una discriminazione culturalmente delicatissima verso le donne che non fanno figli e non hanno legami con un uomo. In che senso uccidere una donna non sposata e non madre è meno grave? Vale forse di meno per la società?».
Su questi aspetti Loredana Lipperini dice espressamente «No, non mi piace. Parlo del decreto legge sul femminicidio così come è stato raccontato», biasimando in particolare l’impianto repressivo del provvedimento e soprattutto l’assenza di idee per favorire il cambiamento culturale, a partire dalle scuole; o il timore che il decreto non preveda finanziamenti o iniziative per il sostegno dei centri anti violenza e di quelli di ascolto per uomini abusanti.
Lo stesso timore di disattenzione verso i centri antiviolenza lo esprime Mariella Gramaglia su La Stampa, notando però che finalmente le istituzioni mostrano di aver recepito che il 70% delle violenze avviene in famiglia e nelle relazioni parentali o affettive, «in quel nucleo, che secondo i vecchi giuristi andava solo lambito e mai aggredito dal diritto penale, che bisogna avere il coraggio di affondare il bisturi con la giusta severità. Questo è il senso delle aggravanti per il coniuge o il compagno, e anche delle aggravanti ancora maggiori se la violenza avviene quando la vittima è in stato di gravidanza o in presenza di minori. E della norma che ha fatto più scalpore: “fuori casa il coniuge violento”. Sorvegliato, immaginiamo, e tenuto a debita distanza dalla dimora coniugale».
Più controverso il passaggio sulla non revocabilità della denuncia. Per Gramaglia consiste in un’importante assunzione di responsabilità da parte della collettività, che dovrà dimostrare di esserne degna, a partire dal saper garantire processi in tempi ragionevoli, e che soprattutto arrivino prima o poi a una conclusione («in due terzi dei casi oggi le vittime di violenza non vedono la fine del processo nei confronti dei loro persecutori», si nota nell’articolo). E se per De Gregorio «che la querela non sia ritirabile è decisione ottima, giacché chi è vittima di violenza è anche in genere vittima di intimidazione», esprime invece forti perplessità Michela Murgia, la quale in un’intervista commenta la legge come «un passo avanti significativo per difendere le donne», notando però che le donne dovrebbero essere libere di decidere se continuare l’iter processuale o no. Mentre di Francesca Comencini vengono riportare su Repubblica parole di apprezzamento e felicitazioni, con il solo timore che «c’è il rischio che questa campagna contro il femminicidio faccia prevalere una visione della donna come soggetto debole».
Del tutto negativo invece il commento di Barbara Spinelli, avvocata ed esperta di femminicidio, che sul Corriere della sera osserva che il provvedimento insiste sulla repressione, «ma le carceri italiane sono al collasso – scrive la giurista – Alla maggior parte degli arresti seguirà l’adozione di misure cautelari non detentive. La procedibilità d’ufficio, se non accompagnata da un effettivo supporto alle donne, rischia di aggravarne la situazione». Il breve articolo si può leggere da una foto all’articolo originale, fatta circolare su Twitter dalla stessa Spinelli, che intervistata da El Paìs, ha espresso le stesse considerazioni negative sul provvedimento approvato.
Segnaliamo infine un’analisi dei singoli punti del decreto pubblicata sul blog del Corriere La ventisettesima ora.