BAMBINI a lezione di “rispetto tra i generi” per combattere omofobia, razzismo, e rifiutare sempre e comunque la violenza sulle donne. Contro il femminicidio parte dal Comune di Torino il primo progetto istituzionale in Italia di “educazione alla differenza” nelle scuole.
BAMBINI e ragazzi chiamati a capire e scoprire cosa vuole dire la parità tra i sessi. Perché di fronte alla tragedia del femminicidio, e di tutte le nuove forme di razzismo, è da loro che bisogna ricominciare. Nelle aule dei più piccoli e in quelle dei più grandi, in palestra, fuori dalle scuole, nei campetti di calcio, all’oratorio. In quell’età acerba in cui molto si scopre, molto si sperimenta, ma subito si sovrappongono giudizi, stereotipi.
Così nelle scuole elementari di Torino si analizzeranno fiabe e cartoni animati, e alle medie si discuterà di Storia, ma partendo, finalmente, dal punto di vista femminile. Educazione sentimentale 2.0. Se a Torino le “lezioni di genere” salgono in cattedra, il movimento è in realtà più ampio, è fatto di genitori, insegnanti, educatori, che hanno deciso di reagire, preoccupati dalla deriva “intollerante” delle generazioni più giovani. Quelle stesse che quando arriva l’adolescenza partecipano o subiscono le campagne su Facebook, dove il sesso è un’arma, e chiunque sia differente viene emarginato, con conseguenze a volte irreparabili. Gli adolescenti suicidi, il femminicidio, l’anoressia in nome di una bellezza impossibile… Spiega Umberto Magnoni, direttore del settore formazione del Comune di Torino: «Se ho la giusta percezione della differenza, se riconosco il ruolo dell’altro sesso, so anche che quella persona non è inferiore a me».
In Francia l’hanno chiamato “Abcd de l’egalitè”, un vero e proprio programma ministeriale per le scuole primarie, in Svezia sono ripartiti dagli asili, in Inghilterra dalle campagne contro i negozi di giocattoli troppo “sessisti“, in Italia molti licei organizzano spontaneamente corsi di “educazione di genere”. Gran parte di questi corsi, seguiti negli ultimi due anni da oltre sedicimila studenti, sono organizzati da un team coordinato da Lorella Zanardo, manager, scrittrice e autrice alcuni anni fa di un fondamentale documentario “Il corpo delle donne”, visto online da 5 milioni di persone.
«Dopo il successo di quel documentario, in cui mostravo come i media mercificassero il corpo delle donne, ho ricevuto centinaia di richieste da parte di professori e professoresse, che mi chiedevano di incontrare i ragazzi proprio per parlare di questi temi, consapevoli di quanto la televisione influenzi i rapporti tra i sessi». Da qui è nato un fortunato progetto, “Nuovi occhi per i media”, con cui Zanardo e il suo team stanno girando le scuole d’Italia. «Mostriamo ai ragazzi i programmi che seguono di più, e poi senza mai criticare le scelte, proviamo a far vedere come dietro una semplice ripresa ci siano mille contenuti.
Uno dei tanti quiz di prima serata ad esempio: quando entra la candidata la telecamera prima inquadra le gambe, poi risale verso il seno, si ferma sulla scollatura, e infine mostra la faccia. Quando entra il candidato uomo lo zoom è subito sul volto…».
Una decostruzione dell’immagine insomma, che dopo le prime resistenze, i ragazzi iniziano a seguire. Perché, paradossalmente, i figli delle madri cresciute negli anni della lotta per la parità e del femminismo, stanno vivendo un salto all’indietro nel rapporto tra ragazzi e ragazze. Graziella Priulla, docente di Sociologia all’università di Catania, ha pubblicato di recente un manuale per le scuole superiori dal titolo “C’è differenza”.
Un viaggio attraverso tutte quelle leggi, dal voto al divorzio all’aborto che hanno cambiato la vita delle donne. Ma un racconto anche della violenza maschile, e dello sfruttamento del corpo femminile. «Parlando con i miei studenti mi sono accorta che non sapevano nulla di tutto questo. Le ragazze cercano sempre di più di assomigliare a stereotipi tradizionali, i maschi si offendono se si chiede loro chi lava i piatti in famiglia…”.
Da una parte la sessualità sempre più esibita e precoce, dall’altra una grammatica dell’amore nutrita di simboli che si pensavano superati per sempre. «Nella mia classe ho delle studentesse brillantissime ma del tutto soggette alla volontà dei loro fidanzati coetanei», racconta Maria Monni, prof di Matematica di Cagliari. «Negli ultimi anni ho visto affievolirsi il sentimento di autonomia delle ragazze e aumentare il senso di orgoglio dei maschi in quanto maschi. Una vera regressione». Che ci sia ormai uno scarto infatti tra ciò che sono le bambine e le ragazze e la loro rappresentazione nella società è sempre più evidente.
Lo sottolinea Irene Biemmi, ricercatrice di Scienza dell’Educazione all’università di Firenze, che ha analizzato decine di libri di testo delle scuole elementari, per descrivere poi il ruolo femminile che ne emerge. «Un’analisi sconfortante — ammette Biemmi — i maschi fanno almeno 50 professioni diverse, e molte prestigiose, e le donne soltanto 15, e tra queste ci sono la mamma, la fata e la strega…». E naturalmente anche la maestra, visto che l’82% del corpo docente è femminile, ma purtroppo e paradossalmente, «sono le stesse insegnanti a veicolare modelli arcaici, e infatti è proprio dalla loro formazione che si dovrebbe ricominciare».
Repubblica 24/9/2013 di MARIA NOVELLA DE LUCA e DIEGO LONGHIN