Coming out a Torino: the day after

Coming out a Torino: the day after

Il Centro studi e documentazione pensiero femminile e la redazione di XXD rivista di varia donnità hanno portato in piazza Castello sabato 23 novembre 2013 un’iniziativa molto forte e significativa – il coming out day – uno spazio fisico e temporale per testimoniare pubblicamente la violenza subìta in prima persona attraverso la parola. L’evento è stato accolto e rilanciato da diverse associazioni, cooperative, coordinamenti, con l’obiettivo di ripeterlo ed estendere l’esperienza in futuro, in varie città d’Italia.

“Nessuna colpa, nessuna vergogna” è il grido di battaglia dell’iniziativa che si oppone ai cliché tradizionali che fanno della donna una pura vittima impotente, nonché sempre in una certa misura corresponsabile della violenza subita, e della vittima una persona priva di forza e di voce. Dimostrando grande carica e coraggio, le donne presenti in piazza il 23 novembre hanno fatto un importante passo verso la rottura della spirale del silenzio che troppo spesso e per lo più avvolge i casi di violenza e frantuma la voce di chi l’ha subita per la paura di ritorsioni, certo, ma anche per la vergogna di rendere pubblico qualcosa di intimo e di sconveniente, per il quale spesso si viene giudicate complici, responsabili e sporche. Se il coming out – la pratica di affermare pubblicamente verità private e scomode per chi le asserisce, ma anche per la società che le riceve – è una prassi politica già utilizzata nella lotta per il riconoscimento del diritto d’aborto negli anni Settanta e nelle battaglie contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale ogni giorno, sabato 23 novembre tale strategia è stata portata in piazza da donne più o meno giovani che hanno subito violenza nella loro vita, contrastando l’idea secondo la quale affermare ciò che si è subito sia pernicioso per la dignità della vittima; riconoscendo il legame di complicità esistente tra “silenzio”, “vergogna” e “violenza”; asserendo tutte assieme e a gran voce che “siamo sopravvissute” e “non tocca a noi vergognarci”.

La violenza contro le donne non è né una rarità né un problema di ordine pubblico, bensì è un fatto culturale, trasversale alla società e fortemente radicato nella famiglia, uno dei luoghi principali attraverso cui passa la socializzazione primaria, ovvero in cui si trasmettono e si fissano modalità di comportamento, scale di valori, usi e consuetudini ispirate dall’ambiente sociale esterno. Si pensi alla assuefazione generale rispetto alla mercificazione di corpi nudi femminili fatta da parte dei media; all’inerzia con cui si accettano i motti di spirito volgari con oggetto le donne fatte da politici, uomini dello spettacolo, baristi o vicini di casa, piuttosto che le frasi del tipo “non sta bene fare così per una ragazza” oppure “sei sicura che sia il caso di uscire da sola” o ancora “beh, con quella gonna lì però…”. È parte naturale del lavoro di una cameriera essere baccagliata, e magari anche sfiorata, mentre passa col vassoio; è normale per una donna ascoltare commenti osceni mentre passeggia o inforca la bicicletta; è scontato che una donna che voglia essere presa sul serio debba coprire il proprio corpo ed è comprensibile che il proprio compagno sia geloso dell’aspetto e degli atteggiamenti della sua compagna, invitandola alla moderazione per difendere il proprio onore e la propria virilità. Questi sono solo alcuni esempi di una rovinosa mentalità diffusa: condivisa e tramandata tanto da uomini quanto da donne, che fa delle donne facili bersagli di violenza in generale, ma sopratutto, tragicamente, nella propria cerchia famigliare.

Fonte: www.xxdonne.net