India, “gli stupri non sono emergenza recente, ma retaggio del passato”. Le violenze sessuali non rappresentano un fenomeno legato all’attualità. L’attivista e giornalista Annie Zaidi ritiene che si tratti “della conseguenza più estrema di una cultura che reprime la sessualità elevando a valori assoluti l’obbedienza al marito e la totale sottomissione della donna all’autorità maschile”. E’ difficile passino più di due giorni senza sentire al notiziario indiano il resoconto dell’ennesimo caso di stupro in India. Il ricordo della ferocia della violenza di gruppo che lo scorso dicembre ha spezzato la vita di una giovane studentessa di Delhi è ancora vivo nell’opinione pubblica del Paese.
Ragazza stuprata nella periferia di Calcutta; turista americana violentata e derubata da tre camionisti nepalesi nei pressi di Manali; turista inglese si lancia dal balcone dell’hotel – e si rompe entrambe le gambe – per sfuggire al proprietario. L’impressionante serie di questo tipo di episodi lascia intendere che si tratti dell’intensificazione di una tendenza recente, un’emergenza stupri che l’India si è trovata a fronteggiare negli ultimi mesi. E niente potrebbe esserci di più falso.
La repressione sessuale in India è preponderante e impone alla popolazione una morigeratezza dei costumi opprimente. Vietato mostrare segni d’affetto tra uomo e donna in pubblico – non ci si abbraccia, non ci si tocca, non ci si bacia – ed è d’obbligo, per la donna indiana, presentarsi in modo “discreto”: ridurre al minimo le parti scoperte del corpo, specie il seno, i fianchi e le gambe.
Il modello di riferimento per la “brava ragazza” indiana, a distanza di millenni, rimane Sita, protagonista del poema epico Ramayana elevata ad esempio di obbedienza al marito e totale sottomissione all’autorità maschile. Non si tratta di un’esagerazione: il riferimento a Sita condisce spesso il respingimento delle richieste di divorzio nelle aule dei tribunali indiani.
A portare avanti nell’immaginario comune il modello di donna “casa e chiesa” indiana, attualizzando i canoni della tradizione hindu, ci ha pensato la più efficace e diretta macchina di divulgazione culturale in India: l’industria cinematografica di Bollywood.
La giornalista free-lance Alexandra Delaney, in un interessante articolo pubblicato sul blog collettivo Kafila.org, ha analizzato l’impatto che l’industria cinematografica di Mumbai ha avuto nell’immaginario collettivo del maschio indiano medio. “Nella maggioranza delle pellicole le donne sono raffigurate o come pure, integre e meritevoli di diventare mogli, oppure dai facili costumi, moralmente discutibili – scrive Delaney – specie in quei film impregnati di riferimenti alla tradizione patriarcale hindu e di retorica ‘Oriente meglio di Occidente’”.
Delaney porta l’esempio recente del film “Dostana” (in Italia “Appuntamento per…3”), dove i due protagonisti maschili, Abhishek Bachchan e John Abraham, dopo aver sedotto una serie di “donne-oggetto” americane – bionde, formose e disinibite – non possono far altro che innamorarsi perdutamente dell’eroina indiana avvenente, ma composta Priyanka Chopra, la brava ragazza della porta accanto perfetta da presentare ai genitori. Per Bollywood insomma la donna occidentale ha un’unica dimensione: rappresenta la “ricreazione sessuale” prima del matrimonio con una indiana dai sani principi.
“Bollywood stereotipa le donne bianche, è vero – spiega Annie Zaidi, giornalista, scrittrice e attivista per i diritti delle donne in India – ma lo fa con tutte le donne, anche quelle indiane. Siamo ancora fermi a donna uguale madre, cameriera o amante”. Secondo Zaidi l’uomo indiano considera più “facili” le donne bianche poiché le donne occidentali sono in genere più libere dal punto di vista sessuale: “Tendenzialmente si fanno meno problemi davanti al sesso, anche con gli uomini indiani, mentre le indiane raramente sorridono a un maschio. Quindi è vero, gli indiani sono generalmente attratti dalle occidentali, ma non solo per il feticismo nei confronti della pelle chiara – lascito di una tradizione razziale e castale ancora presente in India – ma anche perché rappresentano la possibilità di praticare attività sessuale al di fuori del matrimonio e dei bordelli”.
Caratteristiche che non sono parte della middle class indiana e dell’India tradizionale, dove “la depravazione e la frustrazione sessuale è arrivata a livelli incredibili”, racconta sempre Annie Zaidi. Il fatto che le donne occidentali siano maggiormente vittime di stupri in India per lei significa che, “agli occhi dell’uomo indiano, vengono percepite come soggetti più vulnerabili: non capiscono la lingua, non sono protette da uomini, non conoscono il posto e i costumi locali”. “In ogni paese sono sempre i più vulnerabili a essere presi di mira – conclude Zaidi – Lavora in questo modo la cultura patriarcale e la misogina indiana: mantiene certe donne in posizione di sudditanza materiale e psicologica. Le stereotipa in modo che rimangano sempre un obiettivo facilmente individuabile e colpibile”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano