Con la ratifica da parte di Andorra, a partire dall’1 agosto 2014 entrerà in vigore la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, conosciuta anche come Convenzione di Istanbul.
Ospitiamo l’intervento di D.i.Re Donne in Rete. Nata nel 2008 per volontà delle donne dei centri antiviolenza che hanno così dato una struttura organizzata alle esperienze iniziate nel 1990. Oggi D.i.Re rappresenta centinaia di donne che ogni giorno accolgono altre donne che chiedono aiuto legale, sostegno, luoghi dove fuggire dal quotidiano del maltrattamento.
Nel nostro Paese non sono rispettate le direttive internazionali sul numero dei posti letto previsti per donne vittime di violenza (500 esistenti contro i 5.500 indicati); sul territorio nazionale non ci sono centri antiviolenza sufficienti ad accogliere le richieste di aiuto, e quelli esistenti lottano per sopravvivere perché non ricevono finanziamenti costanti; ben poco è stato fatto per cambiare la cultura combattendo gli stereotipi sui ruoli maschili e femminili. L’8 aprile avevamo rivolto un Appello al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che è ancora in attesa di risposta.
Perché il Piano Nazionale contro la violenza, scaduto nel 2013, non è stato ancora rinnovato?
La nuova stesura avrebbe contribuito a promuovere politiche integrate ed organiche per affrontare il fenomeno della violenza. Il suo mancato rinnovo è la naturale conseguenza dell’interruzione del lavoro dei tavoli della task force interministeriale, ai quali D.i.Re aveva partecipato, mettendo a disposizione la propria esperienza. Nell’Appello avevamo anche chiesto al presidente del Consiglio chiarimenti sui criteri che il Governo intendeva adottare per la definizione di centro antiviolenza e la conseguente destinazione dei finanziamenti.
I centri antiviolenza con l’accoglienza alle donne, le Case rifugio, le iniziative di sensibilizzazione e informazione, realizzano da tempo le prescrizioni della Convenzione di Istanbul. Nelle loro città e regioni hanno lavorato in rete con le istituzioni, hanno svelato la violenza, raccolto e analizzato i dati. I nostri sono luoghi di creatività e progettualità sociale dove aiutiamo le donne e facciamo politica per cambiare la società. Il Trattato di Istanbul riconosce il ruolo svolto dalle associazioni delle società civile e prescrive che le loro azioni siano rafforzate a tutti i livelli così dal primo agosto la nostra azione politica dovrà essere sostenuta dalle istituzioni. Gli interventi che abbiamo fatto nei nostri territori dovranno diventare strutturali in tutto il Paese. Il Governo sarà in qualche modo costretto a fare i conti con le sollecitazioni ed i suggerimenti della Rete Nazionale del Centri Antiviolenza (D.i.Re).
L’intervento penale, ad esempio, è uno degli strumenti a disposizione delle donne per fronteggiare situazioni di violenza ma non è il solo e soprattutto non può esaurire le politiche di contrasto alla violenza. La legge n. 119 del 2013 (cosiddetta legge sul femminicidio) che abbiamo criticato, è stata l’ennesima risposta di carattere emergenziale che ha individuato nella legge penale lo strumento privilegiato per la protezione delle vittime, percepite come soggetti deboli da tutelare.
Fonte: 27 esima ora – Corriere della Sera.it