Il divorzio breve, da pochi giorni approvato alla Camera, è stato da poco assegnato alla Commissione Giustizia del Senato e attende di essere calendarizzato. Se questa importante norma dovesse passare, il termine per poter chiedere il divorzio dopo la separazione non sarebbe più di tre anni, ma scenderebbe a sei mesi in caso di separazione consensuale, a dodici mesi in caso di separazione giudiziale, decorrendo i termini dalla notifica del ricorso.
Il testo approvato alla Camera prevede che sia applicabile anche ai procedimenti in corso e che sia operativo indipendentemente dal fatto che la coppia abbia figli/e o meno. Scioglimento anticipato anche per la comunione dei beni, che decorrerebbe sin dal momento della sottoscrizione della separazione consensuale o dall’autorizzazione da parte del giudice alla vita separata dei coniugi. E tre anni di riflessione, previsti con l’attuale disciplina, sono un po’ troppi; lo dicono casi reiterati di violenza di genere.
Si scriveva nel rapporto ombra 2011 Cedaw, la Convenzione Onu per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne: «L’impossibilità di sciogliere il matrimonio in tempi rapidi, determina un acuirsi dei conflitti tra i coniugi. Molto spesso l’uomo durante tutta la durata del procedimento pone in essere condotte persecutorie o di controllo nei confronti della donna, che non riceve adeguata protezione.
La donna che denuncia violenze e condotte persecutorie da parte del partner nella fase di separazione o di divorzio non viene creduta, sulla base del pregiudizio che le sue denunce possano essere strumentali al procedimento in atto. (…) Non sono infrequenti i casi di femminicidio, preceduti da numerose denunce nei confronti dell’ex partner, causati proprio da questa ingiustificata normalizzazione della violenza maschile sulle donne in fase di separazione». E al punto 49 delle successive Raccomandazioni Onu all’Italia si asserisce che «Il Comitato raccomanda allo Stato-membro di: (a) ridurre la durata procedure del procedimento di divorzio ad un anno, secondo il progetto attualmente in discussione in Parlamento; (b) continuare a proteggere ed accrescere i diritti, in particolare quelli economici, delle donne conviventi».
E i fatti di cronaca parlano chiaro di questo dato: una lunga serie di femminicidi legata ai tempi lunghi per ottenere il divorzio. Citiamo un caso fra tanti, troppi: Giuseppa Corvi, solo 43 anni, uccisa il 14 aprile scorso a martellate dal marito quarantottenne in provincia di Terni. I due si erano visti per un “colloquio chiarificatore”, uno dei tanti che si devono sopportare in un “periodo di riflessione” attualmente troppo lungo.
Il divorzio breve è ora ad un passo dall’approvazione. Sembrano trascorsi anni luce da quando il socialdemocratico Grilli evitò che il matrimonio fosse dichiarato indissolubile nell’art. 7 Cost.. Per tre soli voti. Ma si sarebbe dovuto attendere il 1970 per avere la legge n. 898, la Fortuna-Baslini, dai nomi dei parlamentari che maggiormente si spesero per ottenerla. Legge sullo “scioglimento del matrimonio”: se cercate con il vostro computer nel testo la parola “divorzio” non esiste.
La legge originaria avrebbe poi avuto modifiche estensive dei diritti civili con le leggi n. 436/1978 e n. 74/1987. La legge n. 898/70 sarebbe stata sottoposta a referendum il 12 e 13 maggio 1974, esattamente quarant’anni fa. Con il 59,30% dei voti l’Italia disse di no all’abrogazione della legge approvata quattro anni prima, ed è stato uno dei momenti più importanti di democrazia diretta, di partecipazione democratica e di impegno civile che la storia della Repubblica ricordi.
Un “fronte del no” che metteva insieme diverse culture e appartenenze politiche, ma che aveva nel cuore l’importane esperienza del movimento delle donne. Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora; è una buona occasione per fare un grande passo in avanti per i diritti civili in Italia, per la stessa incolumità delle donne ed anche per rendere meno oneroso il diritto umano a scegliere come vivere la propria affettività. Approfittiamone, di divorzio breve si discute in Parlamento sin dalla XIV legislatura e sarebbe ora di dare un lieto fine a questa vicenda. E sarebbe opportuno pure sbloccare i fondi 2013-2015 per i centri antiviolenza.
Fonte: Corriere della Sera.it – La 27 ora 20 giugno 2014 — Francesca La Forgia