Stai lontano da me!

Stai lontano da me!

Pedinamenti, sms, richieste assillanti. Fino a scatenare terrore. Ma proteggersi da uno stalker si può, anche prima della denuncia. La storia di Chiara M. rappresenta alla perfezione quelle di molte vittime di stalking. Conosce casualmente Sergio B., scatta il colpo di fulmine e la decisione di convivere, ospitandolo a casa sua, dopo soli tre mesi “perché lui era di un’altra città, non riusciva a trovare un appartamento in affitto e io vivevo da sola”. Per più di un anno tutto fila liscio: lui è premuroso (anche troppo), parecchio geloso. E ha strane pretese. “Dopo poco che stavamo insieme, mi ha obbligata a telefonare ai miei ex fidanzati per avvertirli che avevo una relazione e che convivevo. E piano piano mi ha indotta a non uscire più così di frequente con le mie amiche ‘perché tanto c’era lui, adesso'”.

Poi, improvvisa, la svolta: iniziano le intrusioni sempre più pesanti, con telefonate (anche 20 al giorno), appostamenti sul luogo di lavoro “per controllare se uscissi, e con chi a fine giornata” e continue richieste di dettagliare accuratamente ogni movimento fatto in sua assenza. “Era diventato un predatore, mi sentivo costantemente braccata. Ero precipitata in un inferno dal quale non riuscivo a uscire da sola, invischiata com’ero nella rete di disistima e d’impotenza nella quale mi aveva intrappolata, dopo aver creato il vuoto intorno a me”.

Quando Sergio le impone di licenziarsi (per controllarla meglio), Chiara, insperabilmente, trova la forza di reagire: chiede aiuto a una struttura che offre assistenza specifica in casi di stalking. “Seguendo i loro consigli, ho indotto Sergio ad andarsene da casa. L’ho colto di sorpresa, come mi avevano suggerito loro. Una mattina, appena sveglio, l’ho guardato fisso negli occhi, cosa che non riuscivo più a fare da tempo e, nonostante avessi la paura folle di una sua reazione violenta e il cuore battesse all’impazzata, ho mantenuto una calma apparente incredibile, mentre gli dicevo di preparare i bagagli e di andarsene la mattina stessa.

Lui non se lo aspettava, convinto com’era di avermi ormai completamente in pugno. Forse per l’effetto fulmine a ciel sereno, forse per l’orgoglio ferito, non ha opposto resistenza: d’altro canto, era solo un ospite in casa mia. Ha raccolto le sue cose, mi ha restituito le chiavi e se n’è andato. Quando ha chiuso la porta alle sue spalle, ho sentito come un tonfo al cuore e netta la sensazione di essere stata metaforicamente catapultata fuori dall’occhio di un ciclone. Esausta, sfinita, con le ossa rotte… ma salva”. Quel giorno stesso e i tre successivi, silenzio assoluto. “Ma non mi sentivo tranquilla: percepivo la sua presenza anche se fisicamente lui non c’era più, accanto a me, nel mio letto, nelle ore della mia vita quotidiana. Continuavo a sentirmi braccata, spiata…

Una presenza che era solo nella mia mente. Ma forte. Quasi fisica. Il quarto giorno, alle sei di mattina, il cellulare squilla. Numero oscurato. Non rispondo. Una, due, tre telefonate di seguito. Poi, silenzio per qualche ora. E di nuovo le telefonate. Era lui, naturalmente, anche se non si palesava. Chiesi aiuto agli psicologici del centro, che mi suggerirono di non gettare il telefono. Di prenderne un altro e un’altra scheda, e di far diventare il nuovo numero quello ufficiale. In questo modo, lui continuava a telefonare sul vecchio cellulare, costantemente in modalità “suoneria muta”, ma senza ottenere risposta. Nel frattempo, in casa mia si era trasferita una mia amica: non sentirmi sola mi aiutava a combattere la paura di trovarmelo faccia a faccia, sotto casa”. Le telefonate moleste sono continuate a lungo, anche se intervallate da periodi di silenzio assoluto.

Così come sono continuate le ansie e gli incubi, a occhi aperti e chiusi, di Chiara che, nel frattempo, inizia una psicoterapia. È un percorso lento, ma risolutivo. Oggi è una donna serena e ha cancellato molte ferite del passato, anche se qualche cicatrice è rimasta. Come la velata paura di ricadere in esperienze analoghe e di trovare un nuovo compagno ancora geloso e ossessivo, che improvvisamente lascerà cadere la maschera, mostrando la sua reale identità: quella di stalker.

 

Uno studio dell’Università di Pisa, pubblicato dal CNS Spectrums della Cambridge University Press, avrebbe individuato le radici neuronali della gelosia delirante di cui è spesso affetto lo stalker: si troverebbero in un’area della corteccia frontale, una zona del cervello che sovrintende a complessi processi cognitivi e affettivi. “Il molestatore può essere un soggetto conosciuto dalla vittima solo superficialmente, ma più spesso è una persona molto vicina: tipico è l’ex partner che non accetta la fine di una relazione”, spiega Laura De Fazio, professore associato di criminologia all’Università di Modena, membro del Modena Group on Stalking, un gruppo di ricerca europeo multidisciplinare (stalking. medlegmo. unimo. it).

Non esiste una tipologia precisa di molestatori insistenti. “Spesso lo stalker non ha un disturbo psichiatrico, ma solo una patologia delle relazioni: non accetta il distacco implicito nella fine di un legame, né il rifiuto della vittima. Secondo nostri studi, per esempio, uno dei maggiori fattori di rischio di atti persecutori perpetrati contro un ex partner è la mancata elaborazione di un lutto (50% dei casi). Poco conosciuto, ma molto frequente (circa la metà), è poi lo stalking compiuto in ambiti diversi da quelli affettivi: lavorativo, familiare (tra genitori e figli o viceversa), tra vicini di casa e scolastico, a riprova che il problema può riguardare tutti e investire qualsiasi fascia d’età, e che andrebbe contrastato prima di tutto con la prevenzione, ossia con la “risocializzazione” dei molestatori insistenti attraverso percorsi delineati da esperti”, spiega Massimo Lattanzi, psicologo clinico e fondatore dell’Osservatorio nazionale stalking (www.stalking.it). Continua

Fonte: D. la Repubblica 7/07/2014