Dati ISTAT: qualche chiave di lettura

Mano apertaSecondo la ricerca del Dipartimento Pari Opportunità e dell’Istituto nazionale di statistica, uscita il 5 giugno e relativa al quinquennio 2009/14, il 31,5 % delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nel corso della vita. Si tratta di circa 6 milioni e 788mila persone, una donna su tre: un dato impressionante ma meno grave di quello registrato nel quinquennio precedente quando la percentuale di donne maltrattate era di due punti superiore.  Quest’ultimo dato è riferito a precedenti rilevazioni su molestie e violenze sessuali condotte già nel 1997 e poi nel 2002 nell’ambito dell’indagine Multiscopo sulla sicurezza dei cittadini. Per Titti Carrano, presidente dell’associazione Di.Re – Donne in rete contro la violenza, i dati confermano che il fenomeno resta diffuso, trasversale e grave: “La diminuzione riguarda in particolare le giovani donne con un livello di scolarizzazione medio alto. Ma il dato di chi si rivolge ai centri è ancora basso (il 4,9 per cento), sebbene sia raddoppiato rispetto al quinquennio precedente. Questo significa che il lavoro di sensibilizzazione e formazione svolto dai centri antiviolenza ha innescato un primo cambiamento. Leggendo questi dati, è stupefacente che il Governo, invece di riconoscere che questi primi risultati sono anche dovuti all’azione e al metodo dei centri, abbia varato un piano d’azione che non attribuisce loro il ruolo fondamentale di motore di cambiamento e di trasformazione di un impianto culturale che ancora genera e giustifica la violenza maschile contro le donne”.

Poche denunce

“Le donne che arrivano al centro, per lo meno in base alla nostra esperienza” spiegano le operatrici del centro antiviolenza Erinna di Viterbo, “spesso scelgono di non denunciare. Si fa strada la convinzione che non serva: la donna, di fatto, dallo Stato italiano non è tutelata e la recente legge sul femminicidio, che non consente il ritiro della denuncia, insieme alla novità del carcere evitato a chi subisce una condanna inferiore ai quattro anni, espone la vittima a ritorsioni se non a violenze ancora più gravi”. Secondo l’indagine, delle donne maltrattate, il 20,2 per cento ha subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento (un milione e 157mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652mila) e il tentato stupro (746mila).

 

Le relazioni affettive

“Una donna su tre è un dato è veramente alto” spiega Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus e componente Grevio – Group of experts on action against violence against women and domestic violence “si potrebbe paragonare a una guerra civile a bassa intensità permanente ma, visto che non servono F35 e kalashnikov per contrastarla, sembra meno interessante. L’indagine dice che le violenze più cruente avvengono per mano di partner, presenti e passati, familiari e amici di famiglia, e questo deve far interrogare profondamente la società contemporanea, che vive nella ricerca dell’amore ideale. Cosa sono in realtà le relazioni affettive, di intimità e di amore? C’è bisogno di un profondo cambiamento culturale per modificare le relazioni affettive e di potere tra gli uomini e le donne, affinché siano basate sul rispetto e non sulla prevaricazione e le discriminazioni di un genere su un altro”.

È nel momento della separazione che le violenze diventano più gravi, soprattutto quando la donna denuncia le violenze subìte. Dalla ricerca emerge che la causa principale o preponderante della separazione è la violenza subìta durante il periodo di convivenza e che durante la separazione è frequente il fenomeno dello stalking da parte dell’ex partner.

 

La violenza assistita 

“Due dati, in particolare, risultano allarmanti. Uno riguarda il sommerso: quasi il 40% delle donne picchiate dal marito o dal compagno non parla di quanto accade dentro le mura domestiche. L’altro la violenza assistita (64%, quattro punti in più rispetto alle rilevazioni precedenti). Le donne che subiscono violenza sono giovani, spessissimo con figli minori”, spiega Mariangela Zanni del centro Veneto progetti donna-Auser. “L’unica nota positiva” continua, “è il fatto che sempre più vittime considerino la violenza subita un reato (dal 14,3 per cento al 29,6 per cento) e meno come qualcosa che è solo accaduto (in calo dal 35,2 al 20). Questo dato rappresenta un grande passo in avanti, perché la consapevolezza che la violenza sulle donne non sia un fatto normale implica che esso sia un problema che riguarda tutti, dalle istituzioni al privato cittadino”.

 

Un problema culturale

Il dato che emerge dall’indagine è in linea con quelli europei (Agenzia europea per i diritti umani: 33% la media delle donne che subiscono violenza in Europa) e internazionali (Organizzazione mondiale della sanità: una donna su tre nel mondo).

“In passato, nella cultura del “maso”, studiata e descritta da sociologi e antropologi come esempio di cultura rurale” spiega Adelia Lucattini, psichiatra psicoterapeuta e psicoanalista, “la violenza fisica come modalità educativa e la violenza sessuale su donne della famiglia erano fatti ineludibili e accettati dalle donne “obtorto collo”, pena l’esclusione dal nucleo familiare. La cultura del “segreto” e della “vergogna” delle violenze subìte viene da lontano e tutt’oggi è difficile da eradicare, non solo per i risvolti sociali della denuncia, ma per le implicazioni psicologiche personali di chi le subisce. La violenza viene dichiarata da chi la infligge come qualcosa fatta “per il bene” di chi la subisce o “per colpa” della bambina o della donna, che “induce” l’aggressore a comportamenti riprovevoli che egli non vorrebbe commettere: un modo per scaricare la responsabilità sulla vittima”.

Il concetto di violenza

Secondo Monica Vodarich, socia fondatrice e vicepresidente di Linea Rosa, la ricerca va letta chiarendo cosa si intende quando si parla di violenza: “Violenza fisica” spiega “è anche essere costretta a stare richiusa in casa o subire altre forme di sequestro, essere buttata fuori casa, subire il lancio di oggetti, sentirsi tirare i capelli, venire scossa o afferrata per un braccio. Violenza psicologica è anche essere tradita, subire menzogne, inganni, giornate di silenzio, sopportare il rifiuto di dare un aiuto domestico o educativo nella crescita dei figli, subire pedinamenti, inseguimenti, minacce, sottrazione di documenti. Poi c’è la violenza economica, che sta nella privazione o nel controllo del salario, nell’abbandono economico, nel non pagamento dell’assegno di mantenimento, negli impegni economici imposti con l’inganno, nell’impedimento della ricerca o del mantenimento del lavoro. Per violenza sessuale si devono intendere anche molestie sessuali verbali (comprese quelle telefoniche) e rapporti sessuali imposti. Per quanto riguarda i minori, infine, è violenza assistita non solo assistere ma anche vedere i segni di violenze subìte da una figura di riferimento come la madre, udire i rumori, ascoltare le grida”.

Alla luce di questa analisi, è facile intuire come il fenomeno della violenza di genere in Italia potrebbe essere sottostimato. “È probabile” conclude Patrizia Lomuscio del centro antiviolenza RiscoprirSi… , che abbiano partecipato all’indagine tante donne che, pur avendo vissuto almeno una volta nella vita delle violenze, non lo abbiano dichiarato perché non le consideravano tali, o perché non se la sentivano di ammetterlo”.

Fonte: la Repubblica D – attualità

 

 

 

  • Aggiornato il 15 Giugno 2015