Non perdiamo il conto dei femminicidi. Bisogna fare sistema

Il 30 giugno, una cinquantina di senatrici e senatori Pd hanno dato inizio a una staffetta parlamentare contro la violenza sulle donne. Flash mob contro il femminicidioLa staffetta consiste nell’effettuare un intervento di fine seduta ogni volta che una donna viene uccisa per mano di un uomo a cui è, o è stata, legata da relazione amorosa. Con l’intervento che ha avuto luogo martedì prossimo, sono già otto le donne a cui abbiamo dedicato i nostri interventi. È utile questa testimonianza? Il Parlamento non farebbe meglio a fare delle leggi che aiutino ad arginare il fenomeno?

Il primo atto del Parlamento, in questa legislatura, è stato la ratifica della Convenzione di Istanbul che, riconoscendo la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e discriminazione di genere, chiarisce che questa violenza non è un fenomeno privato, che riguardi singole relazioni di coppia, ma è un fenomeno sociale che ha le proprie radici nella relazione di potere asimmetrica fra uomini e donne. Per questo la si può e la si deve prevenire intervenendo sui fattori che la determinano.

Il senso della nostra staffetta è allora duplice:

  1. Prima di tutto vogliamo ricordare che alla violenza sulle donne non ci si può rassegnare. Un femminicidio ogni 2,2 giorni interroga tutti, uomini e donne, e chiama tutti alle proprie responsabilità: i media, che dovrebbero smetterla di dare agli assassini l’alibi della gelosia e dell’amore tradito; le forze dell’ordine, il personale sanitario, gli addetti ai servizi sociali, che dovrebbero essere messi nelle condizioni di riconoscere la violenza, anche quando è la stessa donna che la subisce a volerla nascondere; gli insegnanti, i vicini di casa, le parrucchiere, i religiosi, i medici di base, tutti coloro insomma che a vario titolo possono venire a conoscenza dei luoghi ove si consuma la violenza, e possono aiutare nella prevenzione. Perché il femminicidio ben difficilmente origina da un raptus improvviso: al contrario, è quasi sempre l’estremo risultato di una serie di comportamenti violenti di lunga data.;
  2. Per dare una prima attuazione alla Convenzione di Istanbul, nell’ottobre del 2013, il Parlamento ha approvato la legge 119 di contrasto alla violenza di genere, che prevede, fra l’altro, la realizzazione di un ambizioso piano di contrasto e prevenzione. Altre norme sul tema sono state poi introdotte, alla spicciolata, in diversi atti normativi (accesso delle donne ospiti dei centri antiviolenza alle case popolari, congedo dal lavoro per le vittime di violenza, ecc.). E allora si, sicuramente il Parlamento potrebbe introdurre altre leggi, o migliorare quelle che ci sono, ma prima di tutto chiediamo di sapere se quelle che ci sono stanno funzionando oppure no e, se no, perché.

Per fare alcuni esempi, con riferimento alle norme introdotte con la legge 119: quali i dati sull’arresto in flagranza per gli stalker violenti? L’allontanamento del maltrattante, o il suo ammonimento, sono misure efficaci? Quante volte gli autori di femminicidio hanno violato queste misure? L’obbligo di informare la vittima sull’andamento del procedimento giudiziario viene rispettato? Il patrocinio gratuito previsto dalla legge per la donna che denuncia le violenze subite è riconosciuto? L’assunzione della testimonianza in modalità protetta per evitare la ri-vittimizzazione della donna nel processo è negata o concessa dai giudici? Si è data priorità ai processi sui temi della violenza come la legge prevede, nella consapevolezza che il fattore tempo può salvare donne in pericolo? Perché i soldi previsti per i centri antiviolenza sono stati distribuiti una volta sola e non tutti gli anni? A che punto è il monitoraggio dell’uso che ne hanno fatto le regioni? A che stadio di realizzazione si trova l’ampio spettro di azioni previste dal Piano contro la violenza approvato solo nel settembre scorso?

Occorre che tutti gli organi di governo e le amministrazioni coinvolte, a livello nazionale e locale, diano conto delle azioni che hanno messo in campo, perché bisogna capire se ci si è limitati a interventi, anche efficaci e di grande richiamo mediatico, ma episodici, o a macchia di leopardo sul territorio del paese, o se, come richiede la legge, è stato messo in cantiere lo sforzo necessario per fare diventare le tante buone pratiche che esistono nel nostro paese, un vero e proprio sistema di interventi. Senza coordinamento fra le diverse azioni e monitoraggio dei risultati, ogni ulteriore produzione normativa rischia di risultare inutile o inadeguata.

Fonte: huffingtonpost.it

  • Aggiornato il 28 Luglio 2016