Orfani due volte:in un mese 18 figli rimasti senza madre (e padre)

All’inizio del mese, in provincia di Genova un poliziotto ha ammazzato moglie e due figlie. Il giorno dopo, tre bimbi hanno perso la mamma uccisa dal padre a Bitonto, Bari; il piccoletto di quattro anni era presente. Qualche giorno prima un altro bambino di sette anni, in Toscana, a Pomarance, vicino a Pisa, lo hanno trovato muto, sotto choc, non lontano dal corpo della madre, ammazzata con una coltellata dal padre che poco dopo si è ucciso; la coppia aveva altri quattro figli. Cinque orfani, di cui due minorenni.

cfGli orfani adulti, non meno traumatizzati: due settimane fa a Sassari, tre figlie orfane; il 20 novembre a Nubia (Trapani), altri tre figli. In un solo mese 16 figli rimasti orfani di madre per mano del padre: nove maggiorenni, sette minorenni, di questi due anche loro uccisi. Cosa accade? Ma che Paese siamo, che permette che vengano così deturpati i diritti dei figli?

I femminicidi non sono diminuiti negli ultimi anni nonostante norme, apparente sensibilità, attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica. Forse addirittura, dati alla mano, stanno aumentando, perché sono sempre di più le donne che si insubordinano alle violenze, ma se non tutelate tempestivamente, sono uccise. E lasciano dietro di sé i figli orfani. Bambini che perdono padre e madre nello stesso momento. Spesso anche spettatori dei litigi prima e della carneficina poi. Che ne sarà di loro? Della loro sopravvivenza e della loro formazione? Di che tipo di famiglia hanno bisogno per crescere ed elaborare l’orrore di cui sono vittime? Si stima che in 15 anni in Italia (2000-2015) 1600 figli sono rimasti orfani in questo modo, forse, visti i dati di cronaca è una sottostima.

Vittime anche di chi non li ha saputi proteggere. Sono orfani speciali, perché hanno bisogni speciali. Con il progetto Switch-off.eu (Who, Where, What. Supporting WITness CHildren Orphans From Femicide in Europe) abbiamo messo a punto alcune linee guida per rispondere alle domande che le loro storie ci pongono. Abbiamo voluto capire cosa è accaduto dopo l’omicidio, cosa hanno pensato allora e oggi, quali tutele hanno ricevuto, quale percorso terapeutico, sociale, giuridico è stato intrapreso per ridurre i danni originati dal trauma. Coordinando questo progetto (guidato dal Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli, con la collaborazione della rete nazionale dei centri antiviolenza DiRe, e due partner stranieri) ho incontrato orfani che avevano appena subito il lutto e altri, alcuni oggi adulti, la cui madre è stata uccisa dal padre da anni. Ogni storia è diversa.

Mi ha colpito, però, una costante che ritrovo a ogni racconto: l’impreparazione delle istituzioni e di alcune figure professionali che li dovrebbero proteggere ma sono incapaci di ascoltare i loro bisogni. Che siano affidati a parenti oppure a educatori di comunità, si dicono e si fanno cose contraddittorie. Manca un sostegno adeguato e specifico: economico, psicologico, sociale, culturale, normativo.

Ho ancora forte il ricordo di un ragazzo di 14 anni cresciuto con la certezza che la mamma si trovasse in un posto lontano per guarire da una grave malattia e che il padre (che non sapeva essere in carcere) fosse anche lui via per lavoro. Un giorno a casa di un compagno di scuola ha saputo la verità e ha avuto un crollo psichico i cui sintomi sono durati anni. Gli adulti senza preparazione pensano che nascondere la verità sia un bene, ma l’elaborazione del lutto parte dalla presa di consapevolezza reale di quanto è accaduto. Ma ci vuole un salto culturale ancor prima che normativo.

Il trauma degli orfani speciali è legato allo choc di quanto hanno visto e al lutto violento. A renderlo più profondo c’è la perdita di qualsiasi riferimento, anche la casa, la cameretta, i giochi. Ricordo due sorelline di sette e nove anni che hanno assistito all’uccisione della madre da parte del padre che poi si è suicidato, sempre davanti ai loro occhi. I vicini di casa, sentendo gli spari hanno chiamato il 112 che ha trovato le bambine immobili accanto al corpo della mamma implorandola di muoversi con le mani e il volto sporchi di sangue.

Quando muore la mamma e anche il padre non c’è più perché suicida o perché in carcere, gli orfani vengono affidati ai parenti della madre (59 % dei casi) oppure a servizi sociali (25%), zii, nonni paterni (9%), sorelle, fratelli maggiorenni (7%). Non è però così scontato che senza sostegno psicologico ed economico l’affidamento a una persona della famiglia sia stata la soluzione migliore per tutti gli orfani. Anche gli adulti hanno il lutto da gestire e non è detto che siano in grado emotivamente, oltre che materialmente, di prendersi carico di uno, a volte di tre o più ragazzini traumatizzati. Mi ha colpito la vicenda di due minori, 17 anni lei e 10 anni lui, mandati a vivere dai nonni materni. Persone anziane e con problemi di salute: hanno dovuto «restituirli» ai servizi sociali perché li affidassero ad altre persone o a una comunità, perché lasciati da soli. Ho sentito lo strazio della loro scelta: preoccupati di che cosa sarebbe accaduto ai nipoti, ma non trovavano alternative.

Il trauma nel trauma. Non esiste una norma specifica che tuteli o sostenga questi orfani rimasti senza genitori come esiste per altre categorie di orfani (delle vittime del dovere, del terrorismo). Neanche la legge 121 del 2016, che doveva rispondere in materia di risarcimento alla Direttiva comunitaria 2004/80/CE, circa l’indennizzo previsto per le vittime di reati violenti volontari, è riuscita a colmare questo vuoto, perdendo un’occasione di includere gli orfani speciali. Per sostenere gli orfani speciali e chi li segue è necessario garantire un immediato, gratuito e specifico programma terapeutico per la gestione del trauma e del lutto. I ragazzi vanno accompagnati nel percorso scolastico e di socializzazione. C’è bisogno di sostegno economico per gli adulti affidatari e di informazioni e formazione per docenti e operatori dei servizi sociali e forze dell’ordine e magistratura in modo che sappiano cosa dire e come dirlo.

Gli interventi devono durare nel tempo e non essere limitati all’emergenza del momento. Tutto questo ancora non accade. Non hanno ricevuto specifica assistenza economica le famiglie affidatarie nel 98% dei casi. E per quanto riguarda il sostegno psicologico prolungato, alcuni comuni prevedono servizi specializzati per minori traumatizzati. In altri, invece, non c’è nulla se non la buona volontà che da sola non è sufficiente. Il tempo è scaduto.

Fonte: 27esimaora.corriere.it

  • Aggiornato il 28 Novembre 2016