Nel 2016 non c’è stata una giornata senza che una donna vittima di violenza non abbia varcato la porta dell’ospedale San Giovanni Bosco. Lo stesso è successo nel 2017 e, seppur con qualche caso in meno, è capitato anche al Maria Vittoria. A raccontare questa triste statistica sono i dati raccolti dagli operatori che si occupano del «codice rosa», il bollino speciale che i medici assegnano al triage quando si trovano davanti a una persona che ha subito violenza di genere: nel 2016, al Giovanni Bosco, sono stati 364. Al Maria Vittoria, invece, 304. Gli stessi dati, spiegano i dottori, sono quelli che riguardano il 2017 e vanno a fotografare un andamento sostanzialmente costante ma in crescita rispetto al 2012, quando il servizio partì in via sperimentale proprio nell’ospedale di Torino Nord.
All’epoca, infatti, le violenze di questo tipo, che già allora venivano registrate al triage, erano circa 200 all’anno. Ma cos’è il codice rosa e come funziona? È un approccio nuovo per individuare situazioni di violenza che la Regione Piemonte ha deciso di estendere a tutti i suoi ospedali dal 2016. Un approccio che ha tre obiettivi: individuare i casi sospetti, curare le ferite fisiche, sostenere psicologicamente e materialmente le persone che si confidano con il sistema sanitario.
L’AUMENTO DEI CASI
«I numeri di codici rosa sono aumentati ma la variazione di questi dati, probabilmente, è anche dovuta alla maggior preparazione del personale medico che deve affrontarli – spiega la dottoressa Teresa Emanuele, coordinatrice dell’equipe anti-violenza del Giovanni Bosco -. Questo nuovo codice è stato introdotto nel nostro ospedale già nel 2012, nel corso del tempo medici e infermieri sono stati progressivamente formati per riconoscere i casi di violenza che venivano occultati come semplici incidenti domestici e oggi, a distanza di cinque anni, sono pochi quelli che ci sfuggono».
Non tutte le donne che si presentano al Dea hanno la forza di raccontare quello che è successo loro: «Sta alla bravura del medico capire che c’è qualcosa che non va – spiega la dottoressa -. E aiutarle a elaborare la situazione, spingendole a confidarsi».
NON SOLO DONNE
L’identikit della donna che ha subito percosse da parte di un partner è più o meno questo: tra i 30 e i 45 anni, nel 50% dei casi italiana, arriva all’ospedale con lesioni, contusioni, bruciature. «Generalmente è già stata portata all’ospedale per episodi simili – continua Teresa Emanuele -. Si tratta, di solito, di vittime di violenze che si trascinano da lungo tempo. È raro che dopo la prima aggressione vengano all’ospedale. Noi, comunque, abbiamo un sistema informatico che ci permette subito di capire quante volte la paziente è stata ricoverata e per cosa. Se il quadro dei suoi ingressi ci insospettisce entriamo in allerta».
Non ci sono soltanto donne, però: 20 casi all’anno riguardano uomini. In alcuni casi, raccontano i medici, sono arrivate anche coppie che si erano picchiate a vicenda. Ma assistere una persona che ha subito violenze non è facile e può anche essere rischioso. Gli episodi di tensioni registrate anche dentro il Pronto soccorso, infatti, non mancano. «È capitato che il marito o il compagno di una donna che aveva subito violenza domestica arrivasse al Dea e cercasse di portare via persona ferita – racconta la dottoressa Teresa Emanuele -. In alcuni casi, poi, anche i famigliari delle donne che ci chiedono aiuto si mettono di traverso per evitare che situazioni drammatiche vengano alla luce. In caso di pericolo, comunque, contattiamo subito le forze dell’ordine».
Fonte: lastampa.it