Conoscere per decidere. Il convegno Istat per combattere la violenza di genere

Nella mattinata del 23 marzo si è svolto, sulla piattaforma Zoom, il convegno scientifico dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) dal titolo “Conoscere per decidere. L’attuazione del Piano Nazionale sulla violenza di genere contro le donne attraverso i dati”.

Durante l’incontro, relatori istituzionali, esperti ed esponenti del mondo delle associazioni hanno esposto lo stato della misurazione della violenza contro le donne presentando gli esiti dell’Accordo di collaborazione tra l’Istat e il Dipartimento per le Pari Opportunità, siglato nel 2017, con la finalità di costruire il sistema di raccolta ed elaborazione dati, previsto dal Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere.

L’intervento della Direttrice Centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche dell’Istat, Linda Laura Sabbadini introduce il tema della violenza di genere. La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani esistente in tutte le società, classi sociali e culture e rappresenta un fenomeno complesso da combattere e da misurare, causando delle disparità di genere. La lettura e lo studio delle statistiche non è solo la chiave per condurre campagne di sensibilizzazione, permettere agli operatori della sanità di agire al meglio, ma costituisce una immagine chiara del fenomeno in grado di attivare politiche mirate sulla violenza.

Il Direttore Centrale delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione dell’Istat, Saverio Gazzelloni dichiara che il sistema che è stato messo in piedi a sostegno della donne pretende di essere esaustivo, aggiornato periodicamente e in grado di supportare azioni politiche per combattere il fenomeno, seguendo una modalità che sia semplice da utilizzare e facendo uso di un sistema comunicativo leggibile soprattutto da chi è chiamato ad intervenire in prima linea.

La prima sessione è rivolta principalmente alle azioni politiche e alle misure legislative intraprese per la misurazione statistica della violenza di genere in Italia e in Europa. La Senatrice della Repubblica, Valeria Valente, Presidente della Commissione Femminicidio vuole cercare di rispondere alla domanda Perché non riusciamo a combattere questo fenomeno? Perché vi è una lettura errata della violenza maschile contro le donne.
L’elaborazione e il contributo dell’ISTAT è il punto di partenza per comprendere la violenza. “Le statistiche hanno valore se hanno regolarità”; ogni 3 anni verrà infatti redatta una statistica e verranno rilevati i dati ogni due anni dei centri antiviolenza.
Inoltre, la redazione di 28 reati spia, ovvero reati solitamente poco associati alla violenza di genere, ad esempio il danneggiamento dell’automobile, possono rappresentare un preludio di escalation di aggressioni più consistenti e più radicali, che possono portare al femminicidio.

Angela Me, responsabile della ricerca e analisi delle tendenze dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), introduce un framework che rappresenta uno strumento essenziale nella misurazione del femminicidio.
A livello internazionale non c’è una definizione statistica standard e universale per la misurazione dei femminicidi. Se si prendono in considerazione le uccisioni complessive delle donne e delle bambine, all’interno di questi omicidi bisognerebbe comprendere quali abbiano una motivazione di genere. Ma quali sono le caratteristiche degli omicidi che possono essere misurati in modo imparziale e in diverse culture? La disposizione di un framework approvato dalle Nazioni Unite rappresenta un aiuto concreto per misurare il fenomeno a livello internazionale.

Sono quindi state stilate le 8 caratteristiche che determinano per tutti i paesi le caratteristiche di un femminicidio:

  1. Precedenti episodi di maltrattamento / violenza
  2. Privazione illegale della libertà personale della donna
  3. Uso della forza e/o mutilazioni
  4. Esposizione in luogo pubblico del corpo dopo l’omicidio
  5. Crimini d’odio
  6. Violenza sessuale commessa prima dell’omicidio
  7. Se la vittima lavorava nella prostituzione
  8. Se la donna era vittima di forme diverse di sfruttamento

Maria Giuseppina Muratore, della Direzione Centrale delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione, ha invece indicato qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere: identificare i dati utili alla progettazione di politiche adeguate per prevenire e combattere la violenza di genere, proteggere le vittime e aiutarle ad uscire dalla violenza per re-integrarsi nella società, seguendo le 3 P della Convenzione di Istanbul (Prevention, Protection, Prosecution).
Successivamente, ha mostrato i dati dell’indagine sugli stereotipi sulla popolazione adulta nell’anno 2018: quasi il 60% della popolazione (18-74 anni) è d’accordo su molti stereotipi sui ruoli di genere; il 54,6% è portatore di almeno uno degli stereotipi sulla violenza sessuale e il 17,7% ritiene che sia accettabile sempre o in alcune circostanze che un uomo controlli abitualmente il cellulare o l’attività sui social network della propria compagna.

Le indagini sulla sicurezza delle donne mostrano come la violenza non venga considerata come tale, ma come qualcosa che è accaduto, e molte giovani che subiscono lo stupro dal proprio partner non lo riconoscono come reato. Dal 2006 al 2014 giovani donne e studentesse hanno portato un enorme cambiamento aumentando la consapevolezza: maggiori denunce, maggiore ricorso ai servizi (1522, centri antiviolenza, case rifugio, pronto soccorsi). Si sottolinea però la necessità di sensibilizzare la trasmissione intergenerazionale della violenza, la necessità di formazione alle giovani generazioni e di non sottostimare molti altri reati come lesioni, minacce, violazioni di domicilio, diffamazioni.

Serena Battilomo, del Ministero della Salute Direzione Generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica riporta l’analisi esplorativa dello storico degli accessi al Pronto Soccorso. Questa analisi rileva i fattori concomitanti con diagnosi e accessi ripetuti nel tempo che possono aumentare la capacità di intercettazione dei casi. Tra il 2014 e il 2019 si è registrato un numero crescente di accessi in Pronto Soccorso di donne con diagnosi di violenza, da circa 3.300 nel 2014 a oltre 7.600 nel 2019 a fronte di un aumento degli accessi totali del 4% negli stessi anni. Questo può dipendere da una maggiore capacità degli operatori sanitari di riconoscere i casi di violenza grazie alle attività formative messe a disposizione.

Il Progetto Scudo della Polizia di Stato è stato l’argomento successivo del convegno, analizzato da Vincenzo Nicoli, Direttore del Servizio controllo del territorio della Polizia di Stato. Le fonti operative di questo progetto si sviluppano attraverso 3 modalità: tablet Scudo, l’applicazione Youpol e gli interventi. Il programma consente la consultazione di dati, integrando i sistemi operativi già in uso dalle Forze di polizia, per evidenziare i precedenti interventi degli equipaggi nei confronti di vittime di lite, o violenza, anche nei casi in cui sia stata in cui non sia stata proposta denuncia o querela. Gli equipaggi chiamati ad intervenire possono utilizzano l’applicativo interforze Scudo, di supporto alla gestione delle attività di “pronto intervento” per consultare e implementare le banche dati delle Forze di Polizia per la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni connessi alle violenze domestiche o di genere, intercettando sul nascere molte situazioni che possono sfociare in episodi di violenza.

Gli ultimi interventi della mattinata si sono concentrati sull’evoluzione del sistema della protezione delle donne dalla violenza di genere a partire dalla Convenzione di Istanbul visti dal punto di vista del mondo delle Associazioni, tra cui l’Associazione Differenza Donna, Donne in rete contro la violenza (D.i.Re), Telefono Rosa e Fondazione Pangea.

Infine l’intervento della Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, chiude l’incontro sottolineando l’importanza di investire nella prevenzione e nella formazione di docenti e operatori, in particolare vi è la necessità di rivedere i testi scolastici e universitari; consolidare le reti territoriali e rivedere l’intesa Stato – Regioni e rendere armonizzati i criteri di accreditamento per i Centri antiviolenza e le Case Rifugio tra le regioni; creare nuovi flussi di dati tra il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia; raccogliere i dati sugli orfani di crimini domestici e dare maggiore rilevanza alla tematica della violenza assistita all’interno delle politiche; infine è necessario attivare un monitoraggio della vittima fra i soggetti della protezione con la valutazione del rischio della recidiva e investire sempre di più sulla comunicazione, anche sui social network.

Federica Coraglia

  • Aggiornato il 25 Marzo 2022